Si chiama Tonika.
Nata come risposta alla Telecaster negli anni ’60, la tensione dovuta alla guerra fredda era alle stelle e la stragrande maggioranza dei cittadini sovietici non è mai uscita dai propri confini. Solo pochi erano stati, grazie a qualche veloce viaggio, in Cecoslovacchia, Polonia e Bulgaria, e ancora meno erano entrati in contatto con una chitarra elettrica. Ma come per il programma spaziale, anche in materia di chitarre la grande madre Russia non poteva restare al palo.
Quei pochi pionieri sovietici che videro come era fatta una chitarra elettrica cercarono di carpirne i segreti per creare uno strumento che fosse pratico, bello e incarnasse le qualità del grande popolo russo.
Mancanza di esperienza, assenza totale di punti di riferimento, rigetto assoluto di qualunque cosa fosse americana: tutti questi fattori portarono alla realizzazione della Tonika. Inizialmente realizzata a Leningrado (oggi San Pietroburgo) la produzione venne poi spostata a Rostov. La forma, obiettivamente affascinante, non somiglia a nulla visto prima o dopo. Peccato per il corpo enorme e pesante. Il manico spesso come l’albero maestro di una nave vichinga con il profilo più stretto di un carrugio a Genova se si prova ad attraversarlo con una Range Rover.
A detta di chi ne ha provata una, siamo ai confini dell’insuonabilità.
Detto questo, i risultati sono sorprendenti se si considera che questo è il primo tentativo di realizzare uno strumento dal nulla: gli anonimi e operosi artigiani sovietici che crearono la Tonika non avevano macchinari adatti allo scopo, né liutai esperti che insegnassero loro come avvolgere un pickup, né 30 anni di tentativi alle spalle (come gli americani). Non sapremo mai i loro nomi, ma ciò che fecero resta leggendario.